Anno 2003

ASSEMBLEA ANNUALE ORDINARIA - 25 gennaio 2003

L’o.d.g. è il seguente:
1. relazione del presidente
2.
presentazione e approvazione del bilancio
3.
rinnovo delle cariche sociali
4.
votazione per l’ammissione dei nuovi soci
5.
presentazione di novità bibliografiche

     Il presidente G. Romanato, dopo aver salutato calorosamente i presenti, dà avvio alla riunione offrendo, con la sua relazione, una sintesi delle attività in corso e di quelle programmate della Societas. Egli ricorda, a due anni esatti dalla fondazione della nuova associazione, come sia diventata più impegnativa la gestione da parte di chi ne è responsabile per garantire la correttezza delle formalità richieste. In questo biennio, però, la Societas ha confermato la sua vitalità ed ha aumentato il numero dei soci: da 72 sono diventati 78, cui si devono aggiungere gli ammessi dall’assemblea in corso.

     Romanato ricorda, inoltre, l’attività dei corsi di paleografia, sintetizzata in un prospetto distribuito ai presenti e dovuto alla disponibilità di Leopoldo Saggin che, unitamente a Sante Bortolami, Piera Ferraro, Marta Faggiotto e Donato Gallo ha sostenuto l’onere dell’organizzazione e della realizzazione dei corsi.

     Richiama, poi, i temi dei due corsi di cultura primaverili, scelti con l’intento di estendere l’attenzione anche al di fuori della tradizionale area culturale cristiana, pur rimanendo dentro il contenitore della cultura religiosa. È significativo l’essere riusciti a pubblicare gli atti del primo ciclo e di stare per compiere anche la pubblicazione di parte del secondo.

     Romanato ricorda quindi le gite culturali e la frequenza di presenza nella stampa, non solo locale, che è prova dell’attestazione di qualità riconosciuta alle attività della Societas. Segnala, anche, l’apertura di un portale internet che illustra, in forme tecnicamente molto facili, tutta la vita dell’associazione.

     Prima di concludere ringrazia p. Trolese e l’Abbazia di Santa Giustina per l’ospitalità sempre generosa che ci riserva e tutti coloro che hanno collaborato in questi anni. Invita, infine, i soci a fornire stimoli, suggerimenti e osservazioni che permettano ai nuovi responsabili di gestire nel futuro la Societas in forme ancora più appropriate.

     Ornella Tommasi, in qualità di tesoriera, presenta le linee del bilancio consuntivo, che viene approvato all’unanimità dall’assemblea.

     Viene nominato il presidente della fase elettiva dell’assemblea nella persona di Mariano Nardello. I votanti possono esprimere nove voti per eleggere i nove consiglieri del nuovo Consiglio direttivo. Risultano eletti (in ordine di numero di voti ricevuti): G. Romanato, F. Trolese, R. Frison Segafredo, S. Bortolami, F. Dal Pino, D. Gallo, G. Granello, A. Rigon, P. Bettiolo.

     Vengono ammessi come nuovi soci (con voto unanimente favorevole): Giovanni Donato, Fernando Graziani, Gabriele Mantovani, Antonella Nicoletti, Salvatore Sarrubbi.

     Presentano volumi: Dal Pino, Sambin, Bortolami, Gallo, Trolese, Romanato.

Padova, 5 febbraio 2003

Rosetta Frison SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

RIUNIONE - 15 febbraio 2003

L’o.d.g. è il seguente:
1. comunicazioni del presidente
2.
presentazione di novità bibliografiche
3.
G. Carraro, Parrocchia e priorato di S. Leonardo di Padova (sec. XII-XIX).

     Il presidente G. Romanato avvia la riunione salutando e ringraziando i presenti, ai quali fornisce qualche informazione preliminare riguardo:

  • ai risultati delle elezioni dell’assemblea del 25 gennaio e del direttivo del 2 febbraio (il nuovo annualia aggiornato sarà fornito al più presto a tutti i soci);

  • alla definitiva struttura del corso di marzo su: Religioni e forme religiose nell’oriente europeo che ha già richiesto un considerevole sforzo organizzativo;

  • alle celebrazioni in onore di Paolo Sambin in occasione dei suoi 90 anni, previste per il 25 febbraio al Pedrocchi nell’ambito della presentazione del suo volume: Per le biografie di Angelo Beolco, il Ruzante, e di Alvise Cornaro.

     Presentano volumi: Rossi, De Vitt, Romanato.

     F. Trolese presenta G. Carraro, “vocazione adulta” per gli storici, ma con una solida e già ampia bibliografia. Carraro prende la parola spiegando come il suo interesse per San Leonardo sia stato originato dal fatto che, fra tutti gli enti monastici di Padova e del suo territorio estinti con le soppressioni napoleoniche, era l’unico di cui sembrava perso l’archivio. L’opera di scavo documentario negli archivi di Padova, Nonantola, Modena ha portato al felice esito del ritrovamento dell’antico fondo, rimasto ignorato e confuso per più di due secoli nell’archivio della attuale parrocchia di San Benedetto di Padova.

     La storia di San Leonardo è strettamente connessa a quella dell’abbazia benedettina di San Silvestro di Nonantola, fondata nel 752 ed estinta nel 1798. Nei primi secoli di vita i suoi monaci danno vita alla fondazione di numerosi priorati e chiese nell’Italia centro-settentrionale (nel 1622 ne sono documentati 243) che, col tempo, sono organizzati in una vera congregazione. La prima notizia relativa a San Leonardo risale al 1156 ed è inserita in una bolla di papa Adriano IV che la elenca fra le molte proprietà di Nonantola, alla quale è affidata dal vescovo Bellino che conosceva e apprezzava i monaci dell’abbazia emiliana, presenti nella diocesi di Padova almeno dal 1132. Come è stato dimostrato dagli studi di Paolo Sambin, nel corso del XII secolo, a Padova, giunge a maturazione il processo di sfaldamento dell’unità della pieve cittadina, in concomitanza con l’assunzione delle sue competenze pastorali e liturgiche da parte di altre chiese minori. Tale processo non è indolore, ma passa attraverso lunghe liti tra matrice e cappelle e tra cappella e cappella, documentate anche per San Leonardo, della quale si può dire che, nonostante le incertezze del momento in cui acquisisce il riconoscimento di cappella, agli inizi del Trecento è parrocchia a tutti gli effetti e tale rimane fino all’inizio dell’Ottocento. Fra XII e XIII secolo compaiono nei documenti le uniche attestazioni sicure riguardo all’esistenza, presso il priorato, di una comunità monastica, sia pure di dimensioni molto modeste; è però molto probabile che la vita monastica si sia ben presto esaurita per la scarsità di vocazioni che aveva colpito a quel tempo la congregazione nonantolana e, di fatto, già a partire dalla seconda metà del Duecento, diventa quasi una regola che nei singoli priorati sia presente un solo monaco con funzioni di priore, eventualmente coadiuvato da uno o più preti secolari per la cura d’anime. Con l’avanzare del XIII secolo, benché la documentazione sia frammentaria, cominciano ad affiorare episodi e personaggi che fanno pensare ad una vita parrocchiale già ben collaudata. Da una delimitazione dei confini parrocchiali effettuata nel 1308 compare per la prima volta San Leonardo, il cui territorio è molto vasto e si estende all’esterno delle mura duecentesche e, in parte, anche di quelle carraresi.

     Nel Trecento l’abbazia di Nonantola non è risparmiata dalla crisi che investe in modo radicale tutto il mondo monastico. La contemporanea attestazione della presenza in San Leonardo di un priore e di un commendatario entrambi estranei a Nonantola è forse da interpretarsi come l’affievolirsi del rapporto di dipendenza del priorato rispetto alla casa madre: è naturale che si siano potute creare le condizioni per il graduale affermarsi di più stretti collegamenti con le forze locali interessate a favorire lo sviluppo di nuove forme di controllo e tutela sul priorato. Ciò spiega il consolidarsi della prassi, durata oltre mezzo secolo, di assegnare, a fronte della latitanza di Nonantola, la guida del priorato a monaci provenienti da Santa Giustina. Le carte non si limitano, ovviamente, a registrare il mutevole andamento dei rapporti di San Leonardo con Nonantola, ma sono in misura notevole dedicate alla vita interna della parrocchia: vi si trovano riferimenti a pratiche che i fedeli abitualmente attivavano in ragione della loro appartenenza parrocchiale, come i lasciti a favore della chiesa, le disposizioni di sepoltura, la costruzione di altari, l’istituzione di cappellanie perpetue.

     Un ulteriore squarcio illuminante sulla vita e le dinamiche del microcosmo di San Leonardo viene fornito dalle visite pastorali compiute negli anni 1455 e 1457 dal vicario vescovile Diotisalvi da Foligno, che agisce anche su mandato dell’abate commendatario di Nonantola. L’interesse di queste visite sta nel fatto che portano allo scoperto in modo traumatico da un lato una situazione di profondo disagio interno al mondo parrocchiale, schierato in due fazioni pro e contro il priore Mauro, dall’altro una plateale difficoltà di intesa su questa materia fra Nonantola e il vescovo di Padova.

     La conflittualità di questa relazione si protrae nel tempo tanto che, ancora sul finire del XVII secolo, proprio con riferimento al caso padovano, l’abbazia di Nonantola mostra di avere ben chiara la consapevolezza del diritto delle proprie dipendenze all’esenzione dagli ordinari diocesani. Dal 1473 l’abbazia madre assegna a San Leonardo un priore-commendatario di nomina pontificia, il quale resta sostanzialmente estraneo alla gestione parrocchiale e chiama un prete secolare a svolgere le funzioni pastorali-amministrative della parrocchia. Nel 1573 Nonantola riprende il controllo di San Leonardo nominando parroco un prete padovano, prassi che mantiene fino alla sua soppressione.

     Quando, nel 1808, il numero delle parrocchie di Padova è ridotto da 29 a 12, San Leonardo è nel numero di quelle superstiti. Ma nel 1811 anche la sua lunga storia ha termine: l’ultimo priore ottiene, infatti, di trasferirne la sede dalla piccola e malandata chiesa di San Leonardo a quella ben più grande e decorosa dell’ex-monastero femminile di San Benedetto Vecchio. Di lì a poco la chiesa di San Leonardo è abbattuta e il nome della parrocchia viene sostituito con quello della nuova sede.

     L’interrogativo finale, non chiarito dalle carte, è se si possa parlare di un effettivo influsso della spiritualità monastica sull’azione pastorale e sulla pratica religiosa. Nel caso di San Leonardo pare si possa dire che l’eventuale influenza sia cessata alla fine del secolo XV quando, quasi contemporaneamente alla sostituzione in San Silvestro di Nonantola dei benedettini neri con i cistercensi, nel priorato padovano cessano del tutto le presenze di monaci e la cura d’anime è stabilmente affidata a preti del clero secolare.

Padova, 17 aprile 2003

Rosetta Frison SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

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RIUNIONE - 10 maggio 2003

L’o.d.g. è il seguente:
1. comunicazioni del presidente e presentazione di novità bibliografiche.
2.
Il “corpus” dei Consulti di Paolo Sarpi e la sua edizione: intervento di Corrado Pin a presentazione del volume da lui curato: Paolo Sarpi, Consulti, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Pisa-Roma 2001.

     Il presidente G. Romanato saluta i numerosi presenti alla riunione che si tiene nell’Aula Magna dell’abbazia di Santa Giustina in quanto rientra nell’ambito delle manifestazioni per la settimana dei Beni Culturali.

     Romanato commemora, quindi, brevemente la figura di Gabriele Mantovani, da pochi mesi entrato nel numero dei soci e morto improvvisamente lo scorso aprile. Seppure breve la sua presenza fra noi è stata quella di persona sempre gentile, attenta, squisita. Tutta la Societas è vicina alla famiglia in questo difficile momento.

     Dopo una veloce rassegna delle novità bibliografiche, si passa al tema della giornata.

     Il prof. F. Dal Pino presenta Corrado Pin: torinese di nascita e bassanese di adozione, si è laureato a Bologna ed ha compiuto ricerche per conto del CNR, della Fondazione “Luigi Einaudi” di Torino e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Il campo specifico dei suoi interessi storici verte sulla storia politica, religiosa e giuridica dell’età moderna, con particolare attenzione all’area veneta e all’opera di Sarpi. Da anni è impegnato all’edizione critica del Corpus integrale dei Consulti di Paolo Sarpi; dei 7 volumi previsti finora è uscito a stampa il primo: Paolo Sarpi, Consulti, vol. I (1606-1609), tomo I, I Consulti dell’Interdetto (1606-1607), tomo II, 1607-1609, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici – Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma, 2001. Dal Pino introduce anche brevemente la figura del teologo servita consultore della Repubblica Veneta prima di lasciare la parola a Pin, “vera autorità nella materia”.

     Prende, quindi, la parola Corrado Pin che dapprima sintetizza la storia dell’edizione critica dei Consulti sarpiani (cioè dei pareri di carattere giuridico, politico, teologico ecc… che fra Paolo scrive per la Serenissima in qualità di consultore in iure a partire dal gennaio 1606 fino alla morte, nel gennaio 1623) cui sta lavorando, spiegando le difficoltà incontrate soprattutto nella raccolta documentaria per far capire come mai il lavoro sia proceduto e debba procedere anche in futuro così a rilento. Pin fa quindi osservare come la figura di Sarpi, grazie agli studi dell’ultimo cinquantennio, sia venuta crescendo nella considerazione degli studiosi, tanto da arrivare ad essere definito “la testa più pensante che sia dato riscontrare nella storia della Serenissima” (G. Benzoni). Nonostante la sempre più corposa bibliografia sarpiana degli ultimi decenni, però, un ritratto a tutto tondo di fra Paolo pare farsi sempre meno praticabile, anzi gli ultimi studi sembrano avere reso la sua figura più complicata e sfuggente. Se ciò succede per molti personaggi, per Sarpi è dovuto a una ragione in più e cioè alla sua costante volontà di nascondersi tanto ai contemporanei quanto ai posteri: in varie occasioni egli confessa di volere o di dovere dissimulare i suoi pensieri e i suoi disegni dietro una maschera (“personam, coactus, fero; licet in Italia nemo sine ea possit”). Ma la peculiarità che, secondo Pin, si impone con maggior insistenza studiando la biografia e l’opera di Sarpi, è la sua insofferenza per “il giogo”: un giogo che egli sente incombere in Italia su corpi e anime. L’aspetto così drammatico in fra Paolo dell’insofferenza per il giogo, unitamente a quello tanto inquietante della maschera avanza imperioso ogni volta che si ha a che fare con il Sarpi dell’Interdetto e, prima ancora, con il Sarpi che il 28 gennaio 1606 si offre (o accetta) di schierarsi a fianco della Serenissima in occasione della contesa dell’Interdetto con il papato di Paolo V, che si profilava durissima.

     Esaminare il Sarpi consultore di questo momento potrebbe apparire ripetitivo, visto che questo è il periodo più conosciuto del frate veneziano, ma tanti sono ancora i dubbi interpretativi, a partire dai motivi di tale scelta: per alcuni prevalentemente politici, per altri religiosi. Le stesse convinzioni religiose del servita sono ritenute da taluni già orientate all’inizio della controversia verso una sfiducia profonda nella Chiesa di Roma, per altri la crisi giunge solo a vicenda conclusa; mentre per alcuni, poi, Sarpi rimane, nonostante il suo atteggiamento di contestazione, dentro l’alveo cattolico, per altri la sua scelta di schierarsi a fianco della Serenissima contro il papato di Paolo V trova la sua ragione in una chiara volontà di rottura. Forse la presente edizione, fornendo i consulti di una puntuale cronologia finora inesistente, sistemandoli lungo tutte le fasi della contesa, sfoltendo e arricchendo di nuove e a volte sostanziali acquisizioni gli scritti del servita, può favorire una meno aleatoria interpretazione della figura di Sarpi durante questo periodo e saggiare la consistenza dell’impatto dei suoi scritti sul patriziato e sulla società veneziana.

     Quanti si accostano ai consulti, avverte Pin, devono essere consapevoli di trovarsi di fronte ad un’azione sarpiana in continuo divenire, un’azione i cui scopi finali quasi mai vengono esplicitati, ma possono essere colti solo attraverso un cumulo di informazioni che provengono dalla storia religiosa e politica della Venezia del tempo, dalla intensa vita di relazioni di Sarpi e dalla quotidiana attività politica svolta presso i maggiori organi della Repubblica e a contatto con colleghi, patrizi, cittadini, inviati delle comunità del Dominio, ecclesiastici e rappresentanti di altri stati. L’“immensa farragine” dei consulti ha come motivo ispiratore di fondo l’intento di educare la classe dirigente: prima ancora del conseguimento di un risultato temporaneo, a Sarpi importa esercitare, attraverso il consulto, il suo alto magistero politico e religioso. Quanto sia riuscito fra Paolo in questa operazione di cambiamento mentale è ancora in gran parte da documentare ma se si bada a questa funzione educativa si impongono come primari proprio i testi, i modi di argomentare, di convincere, di liberare dalle false idee.

     Pin conclude con una sua suggestione, da verificare: che Sarpi, mentre procede nel compito di consultore, tenda sempre più a differenziare l’ambito temporale dal religioso e che i suoi consulti diventino sempre più “laici”, “politici”. Ciò non per svilire il fenomeno religioso ma per collocare l’essenza della vera religione, tutta spirituale, fuori da strumentalizzazioni, fuori dall’esercizio del potere, di ogni potere; perché la religione, vissuta nell’interiorità, è il mondo della libertà dell’individuo, della salvezza gratuita per fede.

Padova, 9 ottobre 2003

Rosetta Frison Segafredo Segretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

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CONVEGNO - 7 giugno 2003

Societas veneta
per la storia religiosa

Casa di Cristallo

Biblioteca Statale di
Santa Giustina

 

CONVEGNO

DAL CAUCASO AL VENETO.
GLI ARMENI FRA STORIA E MEMORIA

Padova, 7 giugno 2003 – ore 16.00

Abbazia di Santa Giustina – Sala San Luca

Con il patrocinio della Provincia di Padova – Assessorato alla Pubblica Istruzione

     La Societas veneta per la storia religiosa, la Casa di Cristallo e la Biblioteca Statale di Santa Giustina col patrocinio della Provincia di PadovaAssessorato alla Pubblica Istruzione sono liete di proporre una riflessione sul passato e sul presente degli armeni, un popolo da sempre legato alla storia di Venezia e del Veneto. Basti ricordare l’importanza che per gli armeni rappresenta il monastero dell’isola di San Lazzaro di Venezia, ma anche le radici armene di tanti veneti. Uno dei tratti di questo popolo è l’assimilazione rispettosa e profonda della cultura in cui si trova a vivere, pur senza rinunciare alla propria identità. Si può dire costituisca per tutti un esempio di come si possa essere cittadini del mondo.

     Il convegno sarà anche l’occasione per la presentazione del volume: Dal Caucaso al Veneto. Gli Armeni fra storia e memoria che raccoglie in buona parte i testi di un ciclo di lezioni organizzate nella primavera del 2002 dalla Societas veneta per la storia religiosa e che avevano suscitato un ampio interesse di pubblico.

     La S.V. è invitata ad intervenire.

PROGRAMMA

Ore 16.00 Saluto e presentazione del Convegno
Ore 16.15 Dal Caucaso al Veneto. Gli Armeni fra storia e memoria
Tavola rotonda con interventi di:
prof. Antonia Arslan Veronese (Università di Padova)
prof. Boghos Levon Zekijan (Università di Venezia)
prof. Aldo Ferrari (Università di Napoli “L’Orientale”)
Ore 17.15 Dibattito
Ore 17.45 Considerazioni finali
Ore 18.00 Chiusura del Convegno

RIUNIONE - 25 ottobre 2003

L’o.d.g. è il seguente:
1. Ricordo di Paolo Sambin (interventi programmati di F. Trolese, S. Bortolami, G. Gasparini De Sandre)
2.
Rassegna bibliografica
3.
M. Lenart, La letteratura polacca come cammino spirituale della nazione.

     Il presidente G. Romanato esordisce salutando i numerosi presenti e rallegrandosi di vedere alcuni volti nuovi, soprattutto di giovani. Ricorda, poi, come questa sia la prima riunione dopo la morte di Paolo Sambin, che la Societas intende ricordare con iniziative di ampio respiro più avanti nel tempo.

     Prendono, quindi, la parola F. Trolese, S. Bortolami e G. Gasparini De Sandre per dar voce a una testimonianza personale (la natura di questi interventi non si presta a una sintesi, per cui contiamo sulla disponibilità da parte degli autori di fornire in tempi brevi il testo scritto). Questa parte dell’incontro si chiude con un minuto di silenzio.

     Vengono segnalati alcuni convegni e iniziative di studio, oltrechè numerose novità bibliografiche che vengono fatte passare fra i presenti.

     F. Trolese presenta il dott. Miroslaw Lenart dell’università di Opole, ora lettore di Lingua e Letteratura polacca all’università di Padova.

     Dopo aver ringraziato per l’invito, egli parte da alcune considerazioni preliminari sul significato di “letteratura religiosa”, spiegando come sia difficile definirla: sia nella letteratura sia nell’arte, infatti, l’opera è legata non solo al talento dell’autore ma all’esercizio spirituale che egli intraprende sulla via della perfezione. Se si parla, poi, di letteratura religiosa di un popolo si deve pensare non a un catalogo di opere classificate in ordine cronologico, ma alla manifestazione della spiritualità di quel popolo che la produce.

     Va sottolineato anche come l’uomo, nel suo tendere a Dio, sia immerso nella storia; e come il popolo polacco abbia dovuto faticare più di ogni altro per mantenere la convinzione di non essere stato dimenticato da Dio, ma abbia provato anche la consolazione di riacquistare la libertà soprattutto con la forza d’animo che viene dalla fede.

     Lenart compie poi un excursus cronologico della storia polacca partendo dall’anno 966, in cui Mieszko I riceve il battesimo e introduce il cristianesimo per arrivare agli avvenimenti più recenti. Nel segnalare i principali autori e titoli della copiosa produzione letteraria lungo i secoli mette anche in evidenza i collegamenti, frequenti nel tempo, con l’ambiente padovano dell’università e degli ordini religiosi.

     Nell’ultima parte del suo intervento Lenart si sofferma sui tempi più recenti, in particolare sul XX secolo. Ricorda come nel 1918 la Polonia riacquisti l’indipendenza perduta, ma come debba subito far fronte all’avanzata della inondazione bolscevica, diventando il baluardo che difende l’Europa. Da paese cattolico la nazione polacca si sente Chiesa combattente che, come il soldato spirituale legato alla tradizione e all’onore, difende la fede e la patria opponendosi con grande forza d’animo al nazismo e al comunismo. Nel periodo fra le due guerre l’autore di maggior spicco è Ottone Forst Battaglia, secondo il quale “dobbiamo guardare alla letteratura cattolica polacca rendendoci conto del fatto che in nessun paese del mondo come in Polonia è così difficile tracciare un confine fra la letteratura cattolica e quella non cattolica. In questo paese il cattolicesimo si è così saldato con la vita del popolo “da essere una cosa di per se stessa comprensibile in ogni campo, come un assioma che è fuori di dubbio”.

     I tempi del comunismo, a noi più vicini, richiedono una presentazione a parte relativamente sia alla letteratura sia alla storia. Va almeno segnalata l’opera Zapiski Wiezienne (Diario dal carcere) del cardinal Stefan Wyszynski, primate polacco: egli fu imprigionato nel 1953 e passò i successivi tre anni in isolamento. Per il suo atteggiamento inflessibile divenne per i polacchi una testimonianza di fede e di patriottismo e il suo Diario dal carcere divenne una lettura quasi obbligatoria.

     Venendo ai tempi più recenti, spicca la figura di Karol Wojtila: all’inizio sacerdote della gioventù, poi docente del KUL, arcivescovo di Cracovia, cardinale e infine papa Giovanni Paolo II. La sua figura si iscrive nelle vicende della letteratura religiosa non solo per gli studi teologici ma anche per le opere letterarie.

     Fra gli autori meno conosciuti fuori dalla Polonia sicuramente alla prova del tempo resisteranno le poesie del sacerdote Jan Twardowski, la cui riflessione sull’essenza del servizio sacerdotale diventa più chiara in un mondo sempre più laicizzato.

     Esiste, poi, una produzione letteraria difficilmente classificabile: testi mistici e diari di apparizioni accanto a opere scientifiche scritte nelle facoltà di teologia che negli ultimi anni riprendono il loro posto nelle università.

     Lenart conclude osservando come sia significativo che proprio un uomo frutto della millenaria storia cristiana polacca abbia introdotto tutto il mondo cristiano nel nuovo millennio e come per i polacchi la scelta di Karol Wojtyla come papa sia stata non solo un onore ma soprattutto espressione di una storica giustizia e riconoscimento della fede nazionale nella chiesa cattolica non da parte degli uomini ma di Dio stesso.

Padova, 11 novembre 2003

Rosetta Frison SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

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RIUNIONE - 22 novembre 2003

O.d.g.:
1. comunicazioni del presidente e rassegna bibliografica
2.
presentazione del volume Girolamo Seripando e i vescovi meridionali (1535-1563), 2 tomi, Editoriale Scientifica, Napoli 2002, da parte dell’autore Michele Cassese.

     Il presidente G. Romanato saluta i numerosi presenti e passa ad esporre il programma del corso di primavera che riguarderà: Il complesso di Santa Giustina. Archeologia, storia, cultura, arte. Sarà articolato in cinque incontri che si terranno nei giorni 21 e 28 febbraio, 13, 20 e 27 marzo.

     Segue una nutrita presentazione di novità bibliografiche.

     Romanato presenta Michele Cassese: laureato a Napoli e ora docente di storia moderna presso l’Università di Trieste, si interessa soprattutto di storia religiosa dal cinquecento al settecento, in particolare del pietismo di Herrnhut e dell’episcopato meridionale nel XVI secolo. Da anni affezionato socio, molti dei presenti ricordano un interessante corso monografico da lui tenuto per la Societas nel 1998 sulla Riforma in Europa.

     L’incontro odierno è dedicato alla presentazione della sua ultima fatica, che raccoglie i risultati di un lavoro protrattosi per 24 anni, sfociato nel volume: Girolamo Seripando e i vescovi meridionali (1535-1563), 2 tomi, Editoriale Scientifica, Napoli 2002. Cassese delinea il percorso che ha reso possibile il compimento di una ricerca, durata oltre un ventennio, in grado di offrire l’edizione critica della corrispondenza intercorsa tra l’arcivescovo di Salerno e altri vescovi del Regno di Napoli: un corpus epistolare unico, in grado di consentire una visione complessiva della chiesa meridionale a metà del cinquecento. L’impegnativo lavoro ha richiesto l’analisi del vasto carteggio costituito da 22 volumi con oltre 5 mila lettere, conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli; l’individuazione dei corrispondenti; la trascrizione delle lettere (minute quelle del Seripando e originali quelle dei corrispondenti) prima a mano, poi alla macchina da scrivere ed infine al computer; l’aggiunta delle note filologiche, per evidenziare correzioni e sostituzioni apportate dal mittente stesso e dare ai lettori una migliore comprensione delle sue intenzioni e del travaglio nella stesura della missiva; la verifica delle lettere già pubblicate da altri autori con le eventuali differenze nella trascrizione; l’interpretazione delle lettere e la schedatura dei numerosissimi argomenti in esse contenuti. Di qui la necessità poi di reperire bibliografia secondaria, per chiarire singoli problemi nelle note di carattere storico. Infine la stesura di un breve profilo dei singoli personaggi richiamati nelle epistole, con una bibliografia aggiornata, e tratti biografici più completi per i diretti corrispondenti. L’insieme dei profili costituisce la II parte del primo tomo, mentre le 234 lettere occupano tutto il II volume che comprende anche indici dei richiami biblici, di opere dei classici latini e greci, dei personaggi, dei luoghi e degli autori che appaiono nelle lettere. Si sono infine acclusi in nota brani di altre lettere del Seripando o altri documenti, relativi ad eventi o problemi richiamati. Ciò ha richiesto l’analisi di altra documentazione conservata nella Biblioteca Vaticana o nell’Archivio Segreto.

     A questo lavoro di carattere paleografico-filologico-storico-bio-bibliografico, il Cassese ha fatto seguire un saggio introduttivo in cinque capitoli, che costituiscono la prima parte del primo tomo (pp. 1-158). Vi si delinea un breve profilo del monaco agostiniano Girolamo Seripando che vive la drammaticità del primo cinquecento religioso come uno dei principali protagonisti: segretario del generale Egidio da Viterbo, docente di teologia a Bologna, provinciale a Napoli, generale dell’ordine (1539-1551), “architetto” del concilio di Trento come teologo al primo periodo (1545-48) e copresidente nel terzo (1561-1563), arcivescovo di Salerno, cardinale, presidente del tribunale dell’Inquisizione per un breve periodo tra il 1560 e il 1561, fondatore della stamperia vaticana. Nel saggio introduttivo sono presentate le opere del Seripando ed in particolare il suo carteggio; i criteri dell’edizione presentata alle stampe, i personaggi, i problemi e i fatti in esso contenuti; l’uso della lettera fatto dall’agostiniano e il contributo proprio dei segretari; la storiografia, in particolare da H. Jedin, che ha attinto dal carteggio seripandiano. I capitoli seguenti illuminano su alcuni problemi di notevole importanza per la storia dell’episcopato meridionale, ed in particolare dell’arcivescovo salernitano. Innanzitutto la configurazione dell’episcopato meridionale a metà del cinquecento, rappresentato non solo da pastori rozzi e scadenti, ma anche da non poche personalità di alto valore culturale e/o pastorale (in primis lo stesso Seripando, G. Florimonte, G. Dal Fosso, C. Musso, A.S. Minturno, C. Martirano, O. Fascitelli, J.G. de Nogueras, A.G. Pantusa, G. Pavesi, J. Fonseca, P.A. Di Capua, A. Fiordibello, A.G. Rodriguez, T. Sanfelice…); la posizione del Seripando nei riguardi degli “spirituali” che considerò non come eretici da combattere – posizione questa propria dell’Inquisizione guidata dal Carafa e dal Ghislieri – ma come una risorsa per la riforma della chiesa, dando all’errore di alcuni di loro più il valore di imprudenza che di attacco alla dottrina e all’istituzione ecclesiastica. Tale atteggiamento avrebbe potuto costargli caro, se non fosse sopravvenuta la morte di papa Carafa. Non gli fu tuttavia risparmiata, dopo la sua stessa morte, l’ignominia dell’inclusione nell’elenco dei sospettati dall’Inquisizione. Infine nel V capitolo il Cassese prende in ampio esame la relazione tra l’arcivescovo salernitano e i vescovi meridionali suoi corrispondenti e ne evidenzia il ruolo significativo ed autorevole nell’ambito di quell’episcopato. L’arcivescovo salernitano ha avuto nel Sud il posto che un ventennio prima fu del Giberti e che sarà poi del Borromeo per l’episcopato post-tridentino: un modello di vescovo a cui rifarsi. La conclusione dell’autore è che il gruppo di vescovi in relazione col Seripando per la maggior parte era costituito da prelati di una sensibilità diversa rispetto al gruppo che stava diventando maggioranza e si avviava alla piena controriforma. Il Seripando mirava ad una riforma della chiesa che mettesse in moto le forze più vive della cristianità e la rinnovasse, come da oltre mezzo secolo a più voci si incitava, “in capite et in membris”; non in opposizione con Roma, ma con il sostegno vivo della Sede Apostolica e con l’apporto attivo dei lavori e delle dichiarazioni conciliari.

Padova, 9 gennaio 2004

Rosetta Frison SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
– Presidente

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Chi siamo

La Societas Veneta per la storia religiosa si propone di diffondere passione e interesse per gli studi inerenti la storia ecclesiastica, alla quale si richiamava la denominazione iniziale dell’Associazione. Inoltre vuole sensibilizzare ad uno studio della storia intesa come rigore critico, ricerca delle fonti e dei documenti, scrupolo interpretativo fondato su un corretto metodo filologico e non sul dilettantismo.

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