Anno 2010

ASSEMBLEA ANNUALE ORDINARIA e RIUNIONE - 30 gennaio 2010

     L’Assemblea annuale, regolarmente costituita in seconda convocazione si è aperta, sotto la presidenza di Mariano Nardello, con la relazione morale del Presidente della Societas Donato Gallo che ha illustrato le attività svolte e i risultati conseguiti nell’anno 2009. L’associazione, grazie all’impegno di molti soci, gode di una buona vita sociale ed offre occasioni culturali che continuano ad avere un positivo riscontro. Gli incontri periodici, cinque fissi più uno esterno, proposti quasi tutti da relatori che non sono membri della Societas, hanno affrontato vari argomenti per ambito e cronologia. Il XXV Corso annuale, dedicato alla “Storia del monachesimo”, ha visto una consistente partecipazione di pubblico. Come ogni anno si è rinnovata la proposta formativa con l’Autunno paleografico che continua ad offrire una palestra di preparazione per gli studi d’archivio grazie all’impegno di responsabili e docenti.

     La relazione economica, svolta subito dopo dal Tesoriere, Giannino Carraro, pur non creando allarme, ha evidenziato che l’attuale situazione delle finanze sociali permette la semplice sussistenza, dal momento che, non esistendo un patrimonio, i mezzi sono costituiti fondamentalmente dalle quote annuali versate dai soci regolari. L’Autunno paleografico fortunatamente si autofinanzia e contribuisce positivamente al bilancio complessivo. La breve discussione sulle finanze ha persuaso il direttivo della ormai improrogabile necessità, prevista dallo statuto, di mantenere tra i soci effettivi solamente quanti risulteranno in regola con le quote sociali in almeno un anno dell’ultimo triennio, interpretando questo come una segnale della volontà di partecipazione attiva all’associazione. Gli altri saranno considerati ‘simpatizzanti’ e come tali continueranno a ricevere gli avvisi relativi alle attività. Come ogni anno, ma non per semplice abitudine, il ringraziamento per tutto il supporto alla vita associativa è andato alla costante e generosa ospitalità dei monaci di Santa Giustina e in particolare alla disponibilità del vice presidente e, dal 2009, Padre Abate don Francesco Trolese.

     L’assemblea ha poi deliberato l’ammissione di nuovi soci: è stata accolta la richiesta del dottor Licinio Lea, studioso di storia locale e religiosa e attivo da molti anni nella biblioteca di Santa Giustina. Il consuntivo economico e l’ammissione del nuovo socio sono state approvate all’unanimità dai presenti aventi diritto al voto.

     Conclusi gli adempimenti societari, ha avuto inizio la parte culturale dell’incontro. Sono stati segnalati solo pochi titoli pubblicati recentissimamente da soci: Storie di streghe nella Venezia del Cinquecento a cura di Stefania Malavasi, Padova 2009; i volumi, editi da Domenico Gobbi, Gli agostiniani a Trento: il convento di San Marco (secoli 13.-19.), Trento 2008 e Agostino da Trento, Astrologia e medicina, Trento 2009. La presentazione delle molte novità bibliografiche è stata rimandata ad una data che consenta una comoda ed esauriente circolazione delle informazioni.

     Introdotta dal presidente Donato Gallo con un breve profilo del nostro ospite, la relazione svolta da Enrico Baruzzo ha presentato parte dei risultati di una tesi di dottorato in Storia del Cristianesimo e delle Chiese (Università di Padova, tutor prof. Giovanni Vian dell’Università Ca’ Foscari di Venezia) discussa nello scorso aprile 2009 e incentrata sulla figura di Elia Dalla Costa (1872-1961). Sacerdote nato a Villaverla (in provincia e diocesi di Vicenza), arciprete del grosso centro industriale di Schio, poi vescovo di Padova, il Dalla Costa fu infine arcivescovo di Firenze. Il relatore, per questo incontro, ha giustamente circoscritto ed approfondito l’analisi a quest’ultimo, lungo, periodo fiorentino (dal 1932 al 1958 quando si ritirò). Dapprima è stata tracciata una rapida ma ben caratterizzata biografia del personaggio, dalla formazione nel Seminario vicentino, agli studi presso l’Università di Padova (scelta non ovvia ai primi del sec. XX), all’impegno nella cura d’anime a Pozzoleone e a Schio, alla guida della diocesi di Padova (dove successe, nel 1923, alla discussa esperienza del vescovo Pellizzo), sino alla chiamata a Firenze. Il relatore ha poi delineato con molta chiarezza l’azione pastorale e l’opera di riorganizzazione della diocesi fiorentina messa in atto dal Dalla Costa. In particolare ha sottolineato le condizioni della diocesi e del clero toscani negli anni Trenta e la loro evidente diversità e complessità in confronto alla solida struttura ecclesiastica veneta, sperimentata durante la precedente esperienza vescovile padovana. Centro della vita religiosa, in un territorio vasto e disarticolato, prevalentemente montuoso, era ancora la rete delle ‘pievi’ e la figura di riferimento principale era il pievano. La preparazione dei sacerdoti era debole, frammentata (in alcuni casi si può definire di stampo ‘pre-tridentino’) e non rispondeva agli indirizzi ecclesiali prevalenti, mentre molti atteggiamenti religiosi popolari rasentavano forme di superstizione. Dalla Costa perseguì con risolutezza la costruzione di una struttura parrocchiale moderna e la creazione di un Seminario unico e centralizzato per la preparazione del clero; nel contempo condivise e talora appoggiò apertamente, pur nel rigore della sua personale impostazione tridentina, i fermenti religiosi e politici agitati da personaggi come Giorgio La Pira, Giulio Facibeni, Primo Mazzolari, Lorenzo Milani in quel laboratorio di idee e di esperienze originali che fu la Toscana del dopoguerra.

     Attraverso lo studio di molti documenti, conservati negli archivi di Vicenza, Padova, Firenze (luoghi dove visse ed operò) e nell’Archivio Vaticano, il giovane studioso ha ricostruito le ricadute delle scelte di governo di Dalla Costa. Negli anni del fascismo si oppose in maniera decisa alla dittatura, suscitando le reazioni dei massimi vertici del regime; durante la seconda guerra mondiale difese la popolazione e la città di Firenze; nel dopoguerra si impegnò per riaffermare i principi cattolici nella società e per gestire i nuovi problemi pastorali. Una figura, insomma, di grande rilievo nel panorama cattolico e civile del Novecento non solo veneto o toscano, ma nazionale.

     La relazione, che ha riscosso una viva partecipazione ed un apprezzamento cordiale per il relatore, si è conclusa con un intervento-testimonianza del presidente onorario e decano della Societas Franco Dal Pino (ha festeggiato da poco il novantesimo compleanno), che ha parlato in prima persona con molta finezza del Dalla Costa tra gli anni ‘40 e ‘50, come lo conobbe personalmente e come era sentito a Firenze. Sono inoltre intervenuti: Nardello, Gallo e Frison.

Padova, 17 aprile 2010

Cristina MarconSegretaria
Donato Gallo
Presidente

RIUNIONE - 8 maggio 2010

     L’incontro ha inizio con la commemorazione del socio onorario mons. Antonio Niero, morto a Venezia il 3 maggio scorso (era nato a Borbiago di Mira nel 1924). L’Abate don Francesco Trolese ne traccia una breve biografia di studioso della storia, della cultura, dell’arte e delle tradizioni della Chiesa di Venezia e del territorio veneto. Numerose sono le pubblicazioni di carattere storico, culturale, spirituale ed artistico – incentrate sulla Chiesa e sulla città di Venezia, ma anche sulle tradizioni religiose e popolari del Veneto – che portano la sua firma o si sono avvalse della sua collaborazione. Niero era, tra l’altro, membro della Procuratoria di San Marco e canonico emerito di San Marco, socio onorario dell’Ateneo Veneto e membro della Deputazione di Storia patria per le Venezie (una tradizione, questa della presenza in Deputazione di sacerdoti studiosi di storia, che affonda le sue radici nel secolo XIX). Per moltissimi anni fu penitenziere a San Marco, incarico che gli impediva di partecipare di persona alle riunioni della Societas, alla quale però era legato (socio benemerito sino al 2000, poi onorario), come dimostra l’attenzione con cui seguiva le nostre attività.

     La presentazione delle molte novità bibliografiche in programma ha inizio con due recentissimi lavori di nostri soci. Il primo è un volume scritto da Mario Poppi su Dolo 1406-158. Territorio, popolazione, attività economiche alle origini di una comunità, (Dolo 2010). Il lavoro, fondato su ampia e importante documentazione d’archivio letta con grande esperienza, traccia la storia della località situata in un’area di confine tra Venezia e l’entroterra, ancor oggi in diocesi di Padova. Il volume sarà presentato il giorno 4 giugno, alle 18.00 nella Sala Consigliare del Municipio di Dolo. Il secondo è il volume di Giannino Carraro, Monachesimo e cura d’anime, parrocchie ed altre chiese dipendenti del monastero di Santa Maria Assunta di Praglia in Diocesi di Padova (secc. 12.-18.), pubblicato nella collana “Fonti e ricerche per la storia ecclesiastica padovana” con l’edizione delle visite abbaziali fino alla soppressione. Il volume sarà presentato a Praglia il prossimo 11 giugno, alle ore 17.00. Di seguito vengono fatti circolare molti altri titoli, la maggior parte inviati da S. Bortolami, che pur non potendo partecipare, manda in visione una ‘borsatina’ di qualche dozzina di libri. Tra questi egli segnala in particolare l’opera di Bruno Castiglioni, ancora fresca di stampa, edita nella collana della Deputazione di storia patria per le Venezie, L’altro feudalesimo. Vassallaggio, servizio e selezione sociale in area veneta. Frutto di una ricerca durata un quindicennio porta, tra le altre, interessanti novità anche per la storia delle istituzioni ecclesiastiche nel Veneto tra XI e XIII secolo.

     La riunione continua con la presentazione del lavoro del socio Michele Cassese, docente di storia moderna presso l’Università di Trieste – e, di recente, relatore all’ultimo corso annuale della Societas – avente per titolo: Espulsione, assimilazione, tolleranza. Chiesa, stati del Nord Italia e minoranze religiose ed etniche in età moderna, Trieste 2009. La prof.ssa Federica Ambrosini, che ha gentilmente accettato di occuparsi della prima parte del volume, il nostro presidente Donato Gallo, e lo stesso autore hanno intrecciato, in una presentazione e discussione a tre voci, le proprie riflessioni sui saggi raccolti nel volume. Si tratta in parte della riedizione di lavori già pubblicati e di nuove indagini, che bene si raccordano tra loro nell’articolato discorso riguardante le relazioni tra la Chiesa, gli Stati – in particolare la Repubblica di Venezia e il Ducato milanese in età asburgica – e le minoranze religiose ed etniche in età moderna.

     Federica Ambrosini, esaminando la prima parte dell‘opera, ha messo in luce come essa sia incentrata su alcuni importanti casi di studio del difficile cammino verso la tolleranza ed ha analizzato i momenti di rifiuto, repressione ed intolleranza del ‘diverso’ – anche tra i non cattolici – fino ai tentativi di assimilazione coatta attraverso la negazione dell’errore e il rientro nella norma con la conversione. Gli esempi vanno dalle posizioni del cardinale Barbarigo che individuava nel paziente convincimento dei non cattolici l’arma per condurli all’ortodossia; continuano con l’abiura in punto di morte (sospetta di essere una forma di coazione) di una giovane luterana residente a Milano, Clara Stifater; proseguono con gli interventi politici adottati da Giuseppe II nei territori asburgici, condensati nella famosa ‘Patente di Tolleranza’ del 1781 e della difficile applicazione di questa per quanto riguarda alcune norme generali nel Milanese, ad esempio il battesimo dei nuovi nati in famiglie riformate (con il caso del Blondel, padre di Enrichetta, poi moglie di Alessandro Manzoni), e la prassi del funerale e della sepoltura dei cristiani non cattolici.

     Si tratta di problemi di natura non solo confessionale o teologica, ma anche spiccatamente politica (visto il forte giurisdizionalismo asburgico) che diedero origine a consultazioni di alto livello con i vescovi e i teologi delle diocesi cattoliche che espressero, al riguardo, opinioni assai differenziate.

     Paragonabile alle difficili relazioni con il “diverso” dal punto di vista religioso è la convivenza con un particolare gruppo etnico e sociale: gli zingari. Dei due lunghi saggi dedicati a questo argomento, frutto di meditate ricerche e di riflessioni su una bibliografia specialistica ignota alla maggioranza degli studiosi (esiste infatti una ziganologia da quasi due secoli), e con qualche novità documentaria molto interessante per l’area veneta, ha trattato Donato Gallo. Nella sua storia scarsamente documentata il popolo nomade (formato da gruppi eterogenei tra loro, principalmente però arrivati nella penisola balcanica e da lì diffusisi in altre aree europee), ha sempre faticato a trovare accoglienza, rimanendo in una zona di marcata marginalità a causa della sua diversità culturale e, soprattutto, del controllo sociale difficilmente attuabile da parte delle diverse realtà politiche con cui gli zingari vennero in contatto. Infatti, mentre le minoranze religiose hanno raggiunto, sia pur lentamente, qualche forma di accettazione ed eventualmente di integrazione, gli zingari ancor oggi faticano a convivere con gli altri, sia dal punto di vista civile, sia da quello religioso. Per loro anche la pastorale della Chiesa cattolica, tranne qualche esperimento, almeno sino all’immediato postconcilio vaticano, ha stentato ad elaborare una risposta adeguata ad una religiosità diversa, strettamente collegata ad un universo culturale difficilmente integrabile, se non a partire da una stanzializzazione che è però premessa per una assimilazione.

     Il lavoro merita una lettura completa e attenta per la ricca documentazione e l’abbondante bibliografia, ma soprattutto perché riconduce ogni considerazione storica al momento attuale, rilegge la storia delle minoranze e della faticosa conquista della tolleranza, specchiandosi nell’oggi e interroga la storia come fonte di risposte per problemi ancora enormemente attuali e mai completamente risolti. Lo storico, come Cassese ci dimostra ampiamente in questo lavoro, prende stimolo dal suo presente per una lettura del passato e, purchè sappia porre le domande giuste alla storia, diventa insostituibile nella comprensione e nella valutazione di quei fenomeni e di quegli atteggiamenti umani che ci interrogano anche oggi.

Padova, 28 maggio 2010

Cristina MarconSegretaria
Donato Gallo
Presidente

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GITA - 12 giugno 2010

     Anche quest’anno, meta della consueta gita che sostituisce l’incontro di giugno, è stata una città di grande interesse storico e culturale, un po’ trascurata dagli itinerari turistici: Feltre.

     La visita però non è stata solo un’opportunità per la conoscenza diretta dei monumenti, ma l’occasione graditissima di incontrare il professor Leonisio Doglioni, nostro socio onorario e generoso sostenitore da molti anni della Societas che ci ha accolti e accompagnati per gran parte dell’itinerario. Anche a lui va il nostro ringraziamento per la piena riuscita dell’iniziativa.

     Don Federico Lauretta, al quale siamo grati, ha intrattenuto nella sua città i contatti necessari e reso possibile l’incontro con Michele Balen cultore di storia feltrina che ci ha fatto da guida con passione e competenza.

     La visita ha avuto inizio dalla Cattedrale, posta ai piedi del colle sul quale si arrocca la città vecchia. Il duomo, dedicato ai santi Pietro e Prosdocimo – a ricordo di antichi legami con Padova, vivaci anche nel medioevo –, ricostruito e riadattato nella forma attuale dopo i danni subiti ai primi del Cinquecento da parte delle truppe della Lega di Cambrai, è situato in un’area di interesse religioso fin dall’epoca romana. La cripta dell’XI secolo, posta sotto il presbiterio e recuperata agli inizi del Novecento, è la parte più antica dell’intero complesso e conserva testimonianze delle chiese precedenti. Vivo interesse hanno suscitato alcune pale e l’organo settecentesco di Gaetano Callido, ma soprattutto la visita, gentilmente permessa dal parroco, ai locali della Sacrestia dove si conservano pregevolissimi mobili d’arredo, corredi liturgici canonicali e l’archivio del Capitolo.

     Sotto la piazza antistante il duomo, uno sguardo agli ampi scavi, ci ha svelato un tratto di un quartiere urbano della Feltria romana. Ai resti di case e botteghe del municipium si sovrappongono quelli di costruzioni più tarde, forse connessi alla più antica sede episcopale della città nonché la pianta circolare di un battistero edificato tra l’XI e il XII secolo.

     Il gruppo, composto anche da un bel numero di amici e di simpatizzanti della Societas, ha quindi intrapreso la ripida salita alla città alta e la passeggiata tra i suggestivi palazzi dipinti fino a Port’Oria, nei pressi della quale sorge la piccola chiesa della Santissima Trinità meta di un’altra tappa. Costruita prima del 1404 su commissione della famiglia Dal Corno, è uno dei pochi edifici risparmiato dalle distruzioni del 1509-1510 e conserva al suo interno un ciclo di affreschi quattrocentesco di grande fascino.

     Oltrepassata la porta est della città, Port’Oria, posta in direzione di Belluno, si è quindi raggiunta la chiesa di Ognissanti, già convento degli Agostiniani, inglobata nel complesso dell’Azienda Sanitaria, normalmente difficilmente visitabile. Dopo la rapida visione del suo interno, purtroppo un po’ trascurato, Michele Balen ci ha mostrato un capolavoro nascosto nei locali annessi: l’Apparizione (o Trasfigurazione) di Cristo con i santi Antonio Abate e Lucia affrescata da Lorenzo Luzzo († 1522?).

     L’ultima meta della giornata, il Santuario dei Santi Vittore e Corona, ha richiesto una breve ma ripida ascesa al colle sul quale sorge il complesso, vero santuario fortificato, a qualche chilometro dalla città nella frazione di Anzù. La fatica però è stata compensata pienamente dall’accoglienza del Rettore mons. Sergio Dalla Rosa, dalla cena semplice e gustosa e, subito dopo, dalla visita dello splendido santuario (sec. XII). Oltre all’arca trecentesca con le reliquie dei martiri ai quali è dedicato, la chiesa conserva molti capolavori artistici (affreschi e sculture) che lasciano davvero ammirati: valgano come esempio le pitture trecentesche imparentate con Giotto, il solenne tabernacolo gotico e l’Ultima cena (XV sec.) che, con la sua prospettiva primitiva, i colori vivaci ancora ben visibili e la complessa simbologia della tavola imbandita, esercita un’intensa suggestione.

Padova, 21 settembre 2010

Cristina MarconSegretaria
Donato Gallo
Presidente

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RIUNIONE - 9 ottobre 2010

     La riunione ha avuto inizio con la presentazione delle novità bibliografiche, tra le quali si segnalano i lavori di alcuni soci. In particolare: escono nella collana ‘Biblioteca dei Quaderni di storia religiosa’, gli atti del convegno tenuto a Verona nel 2008 dal titolo: Margini di libertà: testamenti femminili nel Medioevo, a cura di Mariaclara Rossi; don Francesco Trolese ha appena pubblicato un saggio intitolato: I monaci benedettini e la loro attività agricola in Saccisica, in cui si condensa gran parte della storia delle proprietà agrarie e delle produzioni del monastero di Santa Giustina. Viene inoltre presentato l’ultimo volume della rivista “Brixia sacra” che festeggia il secolo di vita con la pubblicazione dell’indice completo; nell’introduzione Mauro Tagliabue cita anche i contatti che don Paolo Guerrini, animatore della rivista e studioso di valore, ebbe con Paolo Sambin (vi è riprodotta una lettera firmata nel 1954 da Sambin come Direttore della Biblioteca Civica di Padova).

     Di seguito il presidente Donato Gallo commemora brevemente lo storico medievista statunitense Benjamin Kohl, mancato nel giugno scorso (era nato nel 1938), ben noto per essersi occupato della storia di Padova trecentesca (il volume Padua under the Carrara, uscito nel 1998, è stato preceduto da molte altre ricerche). Egli intrattenne contatti amichevoli con alcuni soci della Societas, soprattutto con Sante Bortolami che, in anni ormai lontani, durante un lungo soggiorno di Kohl nel Veneto, lo accompagnò ad un paio di incontri dell’allora ‘Societas Veneta di storia ecclesiastica’.

     La conversazione di questo primo incontro d’autunno è stata tenuta da Matteo Melchiorre, giovane studioso feltrino che si è formato all’Università Ca’ Foscari di Venezia, laureandosi con il prof. Reinhold Muller. La sua tesi di dottorato – impostata dal compianto prof. Giuseppe Del Torre prematuramente scomparso appena cinquantenne nel settembre 2009 – va considerata come frutto della “scuola veneziana”, ma padovano è l’argomento della ricerca nonché il supervisore esterno, il professor Antonio Rigon, nostro socio. Il dott. Melchiorre si è dedicato in profondità allo studio di quell’importantissimo campione di indagine – specie per saggiare i rapporti tra mondo ecclesiastico e contesto politico-culturale – che fu il capitolo canonicale di Padova nel sec. XV.

     “Ecclesia nostra”. La cattedrale di Padova, il suo capitolo e i suoi canonici nel primo secolo veneziano (1406-1509) è, appunto, il titolo della sua fatica, discussa nel marzo scorso; uno studio impegnativo fondato sull’esame a tappeto della vastissima documentazione conservata nei fondi archivistici capitolari di Padova (in particolare presso la Biblioteca capitolare), con speciale riguardo agli Acta Capituli (peraltro lacunosi) e ai preziosi registri di contabilità – fonte di estremo interesse anche per la loro invidiabile continuità – che si articolano nelle serie annuali della Sacrestia, della Caneva e della cosiddetta Canivetta.

     La relazione ha preso avvio da una griglia di domande e, anzitutto, dal quesito: “Di chi era quell’ecclesia nostra, come molte fonti definiscono (dal punto di vista dei canonici) la cattedrale di Padova?” La risposta sta nell’analisi dell’organismo del capitolo sotto tre prospettive: la sua costituzione successivamente alla conquista veneziana; il capitolo come istituzione; le persone che lo compongono. Nel 1410, cinque anni dopo la conquista di Padova, il capitolo era già ‘venezianizzato’ in larghissima misura, si era cioè conclusa la rimozione (insegne e simboli compresi) dei membri legati ai Carraresi che, come ha dimostrato Silvana Collodo, avevano praticato una disinvolta politica di uso degli stalli canonicali a vantaggio di famiglie e persone collegate alla corte signorile. Entro pochissimi anni dalla conquista, dunque, i canonici erano già prevalentemente espressione della volontà veneziana. L’ultimo segno di una qualche autonomia si ebbe nel 1409, quando i superstiti ‘padovani’ del capitolo cercarono, senza successo per la ben diversa volontà della Repubblica, di forzare la situazione della vacanza episcopale tentando di eleggere vescovo l’arciprete Francesco Zabarella. La situazione restò quindi confusa per qualche decennio: significativa in tale senso la visita canonica che nel 1426 il vicario del vescovo Marcello ebbe a compiere alla cattedrale, riportando un quadro sconfortante del livello culturale e morale sia dei canonici sia del clero inferiore. Insomma, almeno fino all’episcopato di Pietro Donà (1428-1447) furono anni di grande difficoltà per l’istituzione e i documenti delle riunioni capitolari lo dimostrano. Nel 1439 papa Eugenio IV, il veneziano Gabriele Condulmer, emanò una bolla – dettata anche dai suoi precedenti rapporti con Padova – che confermò una vasta riorganizzazione di tutta la gerarchia, degli uffici e delle funzioni sia all’interno del capitolo, sia del clero inferiore al servizio della cattedrale. A partire da questa riorganizzazione, grazie ad un’articolata serie di norme disciplinari che costituirono per secoli il vero codice costituzionale dal capitolo padovano, l’istituzione andò assumendo la sua forma definitiva (durata almeno sino al sec. XVII) che rispecchiava pienamente le gerarchie sociali e i complessi rapporti nell’ambito della società esterna: il patriziato veneziano, il ceto dirigente padovano legato al consiglio civico, i ceti medi cittadini, le classi subalterne, il fenomeno del clero forestiero. Oltre ai canonici, facevano parte di questo speciale gruppo umano e sociale al servizio della cattedrale, i mansionari, i custodi (questi due gruppi incaricati sin dal sec. XIII della effettiva cura d’anime nella cattedrale intesa come chiesa parrocchiale) e il folto numero di cappellani, vero ‘proletariato ecclesiastico’.

     La ricchissima documentazione riflette – a volte in misura preponderante – la costante conflittualità interna. Ad esempio quella tra canonici per subentrare nelle prebende vacanti di maggior valore; quella tra canonici e mansionari o cappellani; le tensioni interne al capitolo con conseguente formazione di gruppi di interesse (contro cui nel 1462 il card. Bessarione, legato papale nella Repubblica, dovette assumere drastici provvedimenti); i difficili rapporti con il vescovo per l’ottenuta esenzione dalla giurisdizione episcopale dei canonici e di tutto il clero dipendente (soprattutto a partire dalla metà del secolo con Iacopo Zeno e, poi, con Pietro Barozzi); l’altissimo assenteismo; l’interesse rivolto esclusivamente all’amministrazione delle prebende. Del resto è impossibile ridurre i canonici entro costanti condivise, per cui la ricerca ha dovuto adottare un metodo prosopografico, proprio considerando gli individui nel gruppo. Dei 194 canonici che si contano nel periodo considerato (tenendo conto che per ogni anno ne risultano in carica al massimo 22-24, spesso, tuttavia, non residenti), un terzo troverà nel seggio padovano il primo importante gradino per una carriera ecclesiastica in ascesa, a volte assai brillante. Alcuni conseguiranno successivamente benefici maggiori, altri saranno vescovi, qualcuno cardinale, persino un papa, Paolo II (al secolo Pietro Barbo). Tutte queste aspettative resero pertanto estremamente ambita la nomina ad una prebenda della cattedrale di Padova e potente il capitolo, determinando situazioni di vera e propria ‘familiarità’ nella trasmissione di canonicati all’interno di casate veneziane.

     La brillante esposizione si è conclusa con un accenno alle notizie di tipo metereologico riguardanti l’estate del 1509 contenute nelle fonti capitolari. Esse testimoniano la grande piovosità di quell’anno calamitoso, fatto che sembra rispecchiarsi nella celebre Tempesta di Giorgione (da pochi giorni uscita dalle veneziane Gallerie dell’Accademia per essere messa in mostra a Padova presso i Musei civici degli Eremitani).

     Gli interventi di Barile, Benucci, De Vitt, Gallo, Piovan, Saggin e Trolese, dimostrando l’interesse suscitato dalla relazione, hanno richiesto un approfondimento e talune precisazioni su questo argomento di storia padovana quattrocentesca, così ricco di agganci e di implicazioni a vario livello (religioso, ecclesiastico, sociale, culturale). Auspichiamo quindi che, almeno la parte principale della tesi, possa trovare a breve la via della pubblicazione in forma di libro. Ci auguriamo inoltre che l’autore possa approfondire e rendere noti molti degli aspetti collaterali, soprattutto quelli che riguardano i rapporti tra il capitolo della cattedrale e il mondo universitario.

Padova, 28 ottobre 2010

Cristina MarconSegretaria
Donato Gallo
Presidente

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RIUNIONE - 13 novembre 2010

     La riunione si apre con il ricordo commosso di Sante Bortolami, nostro caro consocio ed ex-Presidente, deceduto a 63 anni nelle prime ore di mercoledì 3 novembre scorso. Alla Societas sono arrivati messaggi da tanti soci e simpatizzanti lontani, ma le parole più toccanti “all’Amico e all’Uomo Sante, prima che al socio, allo storico, allo scienziato” sono state quelle scritte, nell’urgenza dei sentimenti, da Leopoldo Saggin nella mesta comunicazione per e-mail che ha tempestivamente inviato. Mariano Nardello, Giannino Carraro e il padre Ab. don Francesco Trolese, dopo il presidente Donato Gallo, aggiungono qualche cenno personale ai tanti ricordi che senz’altro affiorano alla mente di tutti coloro che lo hanno conosciuto. Anche Bruno Castiglioni, che con Sante Bortolami ha svolto la sua tesi di laurea alla fine degli anni ‘80 e i suoi studi successivi, prende la parola.

     Quella di Sante Bortolami è stata sempre una grande Storia, secondo la più rigorosa tradizione padovana della ricerca d’archivio (quanto si sentiva legato a Paolo Sambin!), ma questa andava unita ad una straordinaria capacità divulgativa che lui sapeva offrire in forma coinvolgente e persino affascinante. La sua vivacità intellettuale e la sua grande umanità ce ne lascia una ricordo struggente, ma le parole si fermano nel dolore per la sua perdita. Avremo in futuro altre occasioni per ricordarlo in modo più completo e ufficiale, anche collaborando con le iniziative che saranno predisposte dal Dipartimento di Storia dell’Università. I ripetuti contatti con la famiglia in questi giorni non rendono superflua ancora una volta, anche in questa sede, l’espressione del nostro profondo cordoglio insieme a quello per la perdita, il 25 novembre, della sorella Marisa la cui notizia ci giunge quasi contestualmente alla stesura del presente resoconto.

     Desideriamo porgere ancora un ringraziamento al padre Abate per le parole pronunciate nella sua omelia funebre, dettate da cristiano conforto e nel segno di una profonda pluridecennale amicizia, e con lui anche alla comunità monastica di Santa Giustina per la celebrazione delle esequie del nostro Amico, che si sono svolte con grande e sentita partecipazione in una mattina fredda e piovosa, lunedì 8 novembre. È stato un grande omaggio a Bortolami, credente e storico, in un luogo simbolo della Chiesa e della storia di Padova.

     Nel sito web della Societas L. Saggin sta raccogliendo tutto il materiale di Sante Bortolami disponibile in rete (bibliografia, saggi, notizie e filmati). Sono inoltre presenti i discorsi pronunciati durante la cerimonia funebre al Bo e il testo dell’omelia del padre Abate don Francesco Trolese.

     In memoria del defunto raccoglieremo delle offerte da destinare a due istituzioni benefiche.

     Spunto per l’incontro con il prof. don Giorgio Fedalto è la pubblicazione della terza edizione riveduta e aggiornata (2010-2011) de: Le Chiese d’Oriente, di cui è uscito il primo volume (Da Giustiniano alla caduta di Costantinopoli). Il nostro relatore, che tra gli altri incarichi fu docente di Storia del Cristianesimo all’Università di Padova, torna con noi (ora ottantenne, essendo nato nel 1930) dopo un decennio avendoci portato, nel 2000, le sue riflessioni sulla cronologia storica in occasione del tanto discusso passaggio al ‘terzo millennio’.

     La sua relazione appare da subito inusuale, quasi una sorta di confessione del metodo e dei valori di riferimento esplicati nella sua attività di storico, visto che ha affrontato non tanto la nascita remota del volume, ora fresco di riedizione, quanto piuttosto l’evoluzione complessiva dei suoi numerosi studi, che comprendono una ricca produzione bibliografica. Il prof. Fedalto, infatti, ha voluto parlare della sua visione della ricerca storica. “Ogni storia ha una sua preistoria, non nasce per caso, ma si situa nell’ambiente culturale in cui si è cresciuti”, è stata la premessa alla relazione, che inizia con il ricordo delle occasioni formative, degli incontri, e dei maestri che lo hanno guidato o solo spronato nella via degli studi storici (ha ricordato padre Lenertz OP, A. Pertusi, P. Sambin, ma anche le esortazioni di papa Giovanni XXIII – card. Angelo Roncalli – allora patriarca di Venezia). L’esperienza intellettuale del nostro relatore gli ha consentito di evolvere nell’approfondimento della storia della Chiesa in Oriente, partendo dallo studio che aprì i suoi interessi al mondo bizantino e ortodosso, dedicato alla figura e all’opera di Massimo Margunio (1549-1602) – umanista greco ortodosso cresciuto a Creta – che fu a Padova come studente e poi a Venezia. Gli archivi, quello Vaticano prima e quelli ricchissimi conservati a Venezia poi, l’hanno condotto ad approfondire i molteplici ed affascinanti rapporti tra Venezia e l’Oriente. Dalla lettura dei documenti, in particolare le delibere del Senato, ha potuto approfondire la complessa politica ecclesiastica veneziana, debitrice di quella bizantina anche nel sistema della forte ingerenza statale nelle nomine episcopali. Altri tasselli dello stesso interesse per l’Oriente cristiano sono stati: lo studio sulla chiesa latina in Oriente; la raccolta di documenti di Eugenio IV, editi negli Acta; la singolare vicenda di Mara Brankovich, nobildonna bulgara alla corte di Maometto II; lo studio delle crociate e in particolare l’approfondimento sulla Quarta come momento della definitiva rottura psicologica tra il mondo greco-ortodosso e l’occidente romano-cattolico. L’opera dedicata alle tante Chiese d’Oriente è stata anche un’occasione per conoscere meglio alcune realtà che, in conseguenza di un’idea fortemente eurocentrica della storia (o meglio, centrata sull’Occidente cattolico o su quello uscito dalla Riforma), erano spesso citate brevemente nei manuali, anche di storia religiosa, soltanto come ‘separate’. Esse hanno lingue, liturgie e nomi diversi (greca, russa, armena, georgiana, persiana, caldea, ecc…), ma nella percezione dei semplici, di coloro cioè che vivono la loro identità religiosa senza sapere molto o nulla di teologia, le differenze sono minime e assolutamente superabili. La storia – ci ha detto il prof. Fedalto – deve condurci anche a questo, a ciò che unisce trovando le origini delle divisioni per scomporle e ridimensionarle. Oltre a questa conclusione, egli ha offerto una riflessione sul metodo di lavoro, che sembra essere un incoraggiamento a tutti: il ‘coraggio dell’imperfezione’ deve sempre superare la ricerca del meglio e dell’ottimo.

     Infine, quasi con pudore, dopo aver analizzato i tanti studi basati su fonti e documenti tangibili, ha voluto concludere questa sorta di autobiografia intellettuale soffermandosi su un altro tipo di esperienze umane: quelle metafisiche e metastoriche, quei segni straordinari – di cui già Aristotele e Zoroastro sostenevano l’esistenza – che ha raccolto in un volume dal titolo evocativo: Le porte del Cielo.

Padova, 28 novembre 2010

Cristina MarconSegretaria
Donato Gallo
– Presidente

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RIUNIONE - 11 dicembre 2010

     La riunione viene aperta, in assenza del presidente, dal socio ed ex presidente prof. Gianpaolo Romanato ed ha inizio con la consueta rassegna bibliografica. Le novità librarie, segnalate da Nardello, Romanato, Trolese, Pagnoni e Malavasi presentano, tra gli altri, alcuni titoli firmati da soci o simpatizzanti. In particolare si ricordano il lavoro di Albarosa Bassani, Una donna, un istituto, una città: Redenta Olivieri e le Dorotee di Vicenza, documenti per una storia, Vicenza 2010; e il contributo di Primo Griguolo, Il testamento di Giacomo Zocchi († 1475), che compare negli Analecta Pomposiana, editi con data nel 2009, con una Miscellanea in onore di mons. Antonio Samaritani, storico ferrarese. Un cenno particolare viene dedicato all’attività letteraria del socio Giancarlo Guidotti che da tempo pubblica narrativa di carattere storico ed è giunto alla sua ottava pubblicazione.

     Il relatore dell’incontro, don Antonio Scottà, non ha bisogno di presentazioni, non solo per essere tra i soci fondatori della Societas, ma per i suoi frequenti e vivaci interventi alle riunioni e per l’indimenticabile ospitalità nella sua Portogruaro durante l’uscita annuale di qualche anno fa con una apprezzatissima gita a Concordia, alle vicine valli lagunari e alla spiaggia della Brussa.

     L’argomento della relazione riguarda la figura alla quale don Scottà ha dedicato tanta parte delle sue ricerche: Giacomo Della Chiesa, papa con il nome di Benedetto XV. Il lungo lavoro di scavo presso gli Archivi Vaticani si è concluso nel 2009 con la pubblicazione del volume: Papa Benedetto 15° la Chiesa, la grande guerra, la pace (1914-1922), Roma, Edizioni di storia e letteratura. In esso i risultati di oltre un decennio di lavoro si sono fusi con quelli di studi precedenti che avevano condotto il nostro relatore a pubblicare già nel 2002 un primo saggio sull’attività episcopale del Della Chiesa (Giacomo Della Chiesa arcivescovo di Bologna, 1908-1914. L’ottimo noviziato episcopale di papa Benedetto XV). Ancor prima, sono stati importanti tappe di avvicinamento per comporre la monografia di cui l’autore ci ha parlato sia l’edizione delle lettere indirizzate alla Sante Sede dai vescovi dei territori del confine orientale d’Italia nel tragico periodo 1915-1918 e nell’immediato dopoguerra fino al 1922 (due volumi editi rispettivamente nel 1991 e nel 1994), sia la pubblicazione del diario di Carlo Monti (edito nel 1997) – rappresentante ufficioso, “incaricato d’affari”, del Regno d’Italia presso la Santa Sede in un periodo (1914-1922) in cui ancora non esistevano rapporti diplomatici ufficiali – che fu grande amico personale del Della Chiesa.

     Il pontificato di Benedetto XV iniziò il 3 settembre 1914, quando egli aveva 59 anni (era nato a Genova nel 1854). Aveva alle spalle una solida preparazione giuridica e teologica e una ricca esperienza ecclesiastica e diplomatica: segretario di mons. Rampolla alla nunziatura di Madrid; sostituto alla Segreteria di Stato con l’incarico di riordinare il movimento cattolico; arcivescovo di Bologna; cardinale dal giugno del ‘14, poco prima della morte del suo predecessore Pio X. Il suo pontificato fu subito rivolto alla soluzione del conflitto mondiale, dapprima tentando di contibuire perché l’Italia rimanesse fuori dalla guerra, successivamente cercando la pace in ogni modo. L’attività diplomatica fu parallela agli sforzi umanitari in favore dei soldati prigionieri e delle popolazioni colpite dai gravissimi eventi bellici. Nella “più fosca tragedia dell’odio umano e della umana demenza” – così definiva la guerra – il papa invitava i sacerdoti ad assistere le popolazioni rimanendo con loro.

     Al termine del conflitto, la ferma convinzione del pontefice che l’identità storica, culturale e civile di un popolo non potesse essere divisa da ragioni politiche, si manifestò con una intensa attività diplomatica e caritativa nei territori di lingua e tradizioni italiane passati al nuovo regno di Jugoslavia affidata a mons. Celso Costantini. Nel contempo l’attività politica e diplomatica continuava ad intrecciarsi con quella religiosa, pastorale e teologica, alla ricerca di una restaurazione morale e civile dei paesi coinvolti nel conflitto. La riflessione sulla dignità dell’uomo, sulla necessità di pace per uno sviluppo sociale e politico internazionale è condensata nell’enciclica Pacem Dei munus pulcherrimum. Un altro grande impegno del papa furono le missioni: per queste indirizzò i suoi sforzi verso l’organizzazione autonoma delle chiese locali nei territori di missione e promosse la liberazione dal condizionamento politico ed economico da parte delle nazioni europee.

     Molte altre sono le questioni che propone Scottà nella sua analisi del pontificato di Benedetto XV. In estrema sintesi la figura e l’opera del pontefice fu fedele all’indirizzo profetico ispirato da Isaia e dichiarato fin dall’inizio: clama ne cesses, grida senza stancarti: “Ascoltino o non ascoltino, sappiano che un profeta è in mezzo a loro”.

     La discussione conclusiva si anima con interventi e domande di Nardello, Romanato e Frison. A questi il relatore, che ringraziamo ancora vivamente, replica aggiungendo ulteriori argomenti e chiarendo particolari degli atteggiamenti e della diplomazia internazionale di papa Benedetto XV.

Padova, 9 gennaio 2011

Cristina MarconSegretaria
Donato Gallo
Presidente

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La Societas Veneta per la storia religiosa si propone di diffondere passione e interesse per gli studi inerenti la storia ecclesiastica, alla quale si richiamava la denominazione iniziale dell’Associazione. Inoltre vuole sensibilizzare ad uno studio della storia intesa come rigore critico, ricerca delle fonti e dei documenti, scrupolo interpretativo fondato su un corretto metodo filologico e non sul dilettantismo.

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