Anno 2004

RIUNIONE - 24 gennaio 2004

L’o.d.g. è il seguente:
1. aggiornamento su Autunno paleografico e corso annuale di primavera della Societas
2.
presentazione di novità bibliografiche
3.
presentazione del volume di Giovanna Forzatti Golia, Istituzioni ecclesiastiche pavesi dall’età longobarda alla dominazione visconteo-sforzesca, Roma 2002 (Italia sacra, 68).

     Vengono presentate le modalità di svolgimento dei corsi organizzati nell’ambito dell’Autunno paleografico iniziati martedì 20 gennaio presso il liceo classico “C. Marchesi” di Padova. don F. Trolese illustra il programma del corso annuale che avrà per oggetto: Il complesso di Santa Giustina: archeologia, storia, cultura, arte.

     Mentre vengono fatte circolare fra i presenti numerose novità editoriali, alcune vengono segnalate da Saggin, Romanato, Bertoldi, Scottà.

     Il presidente G. Romanato presenta Giovanna Forzatti Golia, docente di Storia della Chiesa medievale all’università di Pavia, ricordandone il percorso scientifico e la vasta bibliografia. Antonio Rigon, membro del comitato scientifico di Italia Sacra, collana in cui il libro è inserito, aggiunge il piacevole ricordo di una proficua collaborazione, cui hanno dato un contributo importante anche Donato Gallo e il tipografo-editore Zangarelli, entrambi presenti. G. Forzatti ringrazia per l’invito ed entra subito nel tema spiegando come nel volume siano confluite ricerche maturate nell’ultimo decennio in circostanze diverse, rielaborate ed integrate ai fini di questa pubblicazione con cui si era prefissa lo scopo di mettere in luce la peculiarità della Chiesa pavese in età medievale: è, infatti, la Chiesa della città capitale e in questa si identifica, per cui più che di un modello si deve parlare di un “unicum” non applicabile ad altre situazioni o realtà religiose. Per quanto riguarda il problema delle fonti, rileva come sia molto scarsa e in parte ancora inesplorata la documentazione relativa alla vita e alla organizzazione del sistema pievano fino al secolo XII; per il secolo XIV precisa di aver utilizzato il registro delle Rationes decimarum del 1322-23, per il secolo XV gli estimi del clero del 1461, 1470, 1483 e una tassa di Filippo Maria Visconti al clero pavese del 1425. Ricorda anche di aver consultato parte della documentazione inedita nella versione trascritta nelle tesi di laurea assegnate da Ettore Cau, maestro operoso e di indiscusso rigore scientifico dell’ateneo pavese.

     Il particolare contesto politico in cui si trovano a vivere le istituzioni ecclesiastiche pavesi, condiziona non poco le strutture interne e la stessa scala gerarchica; il vescovo non assume mai un ruolo di preminenza né all’interno del regno longobardo né, in seguito, di quello italico (è “vescovo della città capitale con troppe forze concorrenziali”, secondo una felice definizione di Capitani riferita al secolo X): la presenza di numerosi monasteri regi e la vicinanza con Milano lo costringono alla ricerca di spazi di giurisdizione esterni o lontani dalla diocesi. Nel corso dei secoli X-XII assumono un ruolo significativo le strutture canonicali che, nel contesto delle istituzioni urbane, si pongono in confronto dialettico oltre che con il vescovo e gli enti monastici, anche con il potere politico e i ceti sociali. Col passaggio di Pavia all’organizzazione comunale le istituzioni ecclesiastiche tardano ad adeguare la loro fisionomia ad un panorama politico mutato: tra il XII e il XIII secolo i monasteri, il vescovo e, almeno in parte, le fondazioni canonicali faticano a darsi un volto cittadino. Quando, più avanti, queste strutture ecclesiastiche stanno per raggiungere una loro rinnovata identità, si trovano a dover fare i conti con un nuovo dominio politico (lo stato visconteo-sforzesco) che mira spesso ad utilizzarle come strumenti del suo potere. Emblematica è, in questo senso, la storia monastica pavese in età medievale: inizia con le prestigiose fondazioni regie della città capitale, trova un assestamento nel difficile passaggio dei secoli XII-XIII tra vecchio e nuovo monachesimo; giunge poi a un periodo di crisi religiosa e istituzionale in cui cominciano a svilupparsi le fondazioni osservanti, appoggiate dai duchi di Milano nel tentativo di inquadrarle in una religiosità regionale di cui si erigono a garanti-controllori.

     Forzatti si sofferma anche sui rapporti fra potere urbano e istituzione vescovile individuando dei parallelismi e delle differenze rispetto alla situazione padovana, ricostruita dagli studi di Sambin, Rigon, Bortolami, nei confronti dei quali si dichiara “molto debitrice”.

     Segue una lunga e animata discussione che verte soprattutto sul ruolo della pieve urbana con interventi di Carraro, Gallo, Rossi, Trolese, Scottà, Rigon, M.P. Billanovich, a prova dell’interesse coinvolgente suscitato da un tema aperto a ulteriori indagini e approfondimenti.

Padova, 12 marzo 2004

Rosetta Frison SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

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ASSEMBLEA ANNUALE ORDINARIA e INCONTRO - 27 marzo 2004

L’o.d.g. è il seguente:
1. presentazione del bilancio e votazione per l’approvazione
2.
ammissione di nuovi soci
3.
interventi previsti nell’ultima giornata del ciclo: Il complesso di Santa Giustina: archeologia, storia, cultura, arte.

     Il presidente G. Romanato presenta il bilancio predisposto dal dott. G. Agostinis e dalla tesoriera O. Tommasi. Riferisce anche alcune loro osservazioni di merito e invita tutti i soci a rispettare il pagamento della quota sociale annua per garantire la copertura delle spese che l’associazione, pur fondata prevalentemente sulla gratuità, deve sostenere. Dopo alcuni chiarimenti il bilancio viene approvato all’unanimità.

     Viene presentata la richiesta di ammissione a soci da parte di sei persone e cioè, in ordine alfabetico: Ines Albarosa Bassani, Liana Bertoldi Lenoci, Maria Pia Billanovich, Anna Boscolo Artmann, Emanuele Fontana, Miroslaw Lenart.

     La loro ammissione viene approvata all’unanimità. Il presidente sottolinea come sia motivo di soddisfazione accogliere questi nuovi soci che, diversi quanto ad età, provenienza e percorsi culturali, apprezzano lo stile di lavoro che caratterizza la Societas e intendono in futuro condividerlo.

     Alle 15,30 in Aula magna si dà il via agli interventi di:

  • G. Silvano, L’epoca delle soppressioni e l’alienazione del patrimonio fondiario di Santa Giustina

  • G. Beltramini, La basilica cinquecentesca

  • G. Baldissin Molli, L’arredo pittorico e liturgico della basilica

  • A. De Nicolò Salmazo, La pittura del Rinascimento a Santa Giustina

     Il testo di questi interventi e di quelli tenuti nel corso degli incontri precedenti sarà pubblicato in un fascicolo speciale della rivista “Padova e il suo territorio” che uscirà nel prossimo autunno.

Padova, 23 aprile 2004

Rosetta Frison SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

RIUNIONE - 8 maggio 2004

L’o.d.g. è il seguente:
1. informazioni e comunicazioni
2.
segnalazioni bibliografiche
3.
Il ruolo delle donne e la religiosità dell’‘800 e del ‘900, intervento di Lucetta Scaraffia, docente di storia contemporanea all’università di Roma La Sapienza e studiosa dell’argomento.

     Il presidente G. Romanato saluta calorosamente i numerosi presenti e:

  • riferisce sull’andamento del corso: Il complesso di Santa Giustina: archeologia, storia, cultura, arte. L’interesse e il livello degli interventi nelle varie giornate ha avuto un riscontro continuo nel numero dei partecipanti, sempre molto elevato. Questo costituisce motivo di soddisfazione per chi l’ha organizzato, ma anche per tutti coloro che a Santa Giustina si sentono legati.

  • dà notizia dell’uscita di un articolo di F.G.B. Trolese, Paolo Sambin († 8 agosto 2003) e il mondo benedettino: un ricordo, “Benedictina”, 50 (2003), p.421-436 che si chiude col richiamo allo stile che il non dimenticato maestro ha voluto dare alla Societas fin da quando l’ha fondata.

  • ricorda il convegno dello scorso 24 aprile, Il ripristino della vita monastica nell’abbazia di Praglia, che ha aperto le celebrazioni per il centenario del ritorno della comunità benedettina a Praglia. Ripercorre anche, brevemente, le vicende che, dopo le soppressioni ottocentesche, resero possibile nel 1904 il rientro nello storico complesso di una comunità benedettina, la quale favorirà la rinascita anche di Santa Giustina, dove i monaci potranno tornare nel 1919.

     Numerose sono le segnalazioni bibliografiche. Su alcune pubblicazioni si soffermano in particolare Dal Pino, Romanato, Trolese.

     G. Romanato ringrazia a nome di tutti la prof.ssa Lucetta Scaraffia per la disponibilità dimostrata accettando l’invito e illustra brevemente il suo percorso di studiosa che ha approfondito con attenzione particolare la religiosità femminile. L’oratrice esordisce affermando che fino alla Rivoluzione Francese l’unica forma di consacrazione religiosa consentita dalla Chiesa alla donna era la clausura. Tutto cambia dopo la Rivoluzione, quando sorgono nuove forme di aggregazione femminile consacrata, non più vincolate alla clausura, ma dedite ad attività di pubblico servizio. Il mutamento è legato alla nuova spiritualità che si diffonde negli anni della Restaurazione e alla diversa percezione che acquisiscono le classi nobiliari del proprio ruolo sociale. Nasce in tal modo la figura della suora, ben distinta dalla monaca dell’antico regime, che anticipa per molti aspetti il ruolo sociale della donna moderna, quale si affermerà nei regimi democratici. La suora infatti esce dal convento, amministra denaro, gestisce proprietà, svolge attività sociali, studia nelle scuole e nelle università (le prime donne a frequentare le università, spesso in abiti borghesi, furono le suore). La Chiesa avrà difficoltà ad accettare questa trasformazione, inizialmente subìta e tollerata. Solo nel ‘900 l’ordinamento canonico codificherà questa nuova concezione della religiosità femminile. Furono le suore ad iniziare la pubblica assistenza negli ospedali e venne da loro la spinta ad aprire scuole nei centri periferici. I comuni, in diversi casi, aprirono le scuole laiche dopo che le suore avevano avviato le proprie. Il terreno d’elezione di questo fenomeno fu l’Italia settentrionale (Lombardia e Veneto in prima fila) ma poi le suore si diffusero in tutta la penisola, Sicilia compresa. La legge Coppino aprirà loro la strada dell’insegnamento elementare nelle scuole pubbliche. L’istituzione ecclesiastica farà resistenza soprattutto su due punti: l’autonomia amministrativa e la possibilità di svolgere assistenza negli ospedali agli uomini. Ma in entrambi i casi gli istituti vinsero la battaglia. Il trasferimento a Roma delle case generalizie favorì i rapporti con l’autorità ecclesiastica, ma irrigidì anche la spontaneità del fenomeno che venne gradatamente posto sotto un più rigido controllo dell’autorità, accentuando quelle forme di umiliazione della suora che frequentemente si verificarono quando crebbe la collaborazione fra istituti maschili e femminili. Gli ordini maschili infatti continueranno a concepire la donna consacrata come subordinata o dedita ad attività minori.

     La discussione che è seguita alla relazione non è stata meno vivace e partecipata, con interventi di vari soci. La professoressa Scaraffia ha chiarito e approfondito molti punti della sua bella relazione, che ha vivamente interessato i partecipanti, segnalando anche come le congregazioni femminili oggi abbiano spesso perduto lo slancio e la creatività iniziali, soprattutto sotto il profilo culturale.

Padova, 21 maggio 2004

Rosetta Frison SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

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GITA e INCONTRO - 5 giugno 2004

L’o.d.g. è il seguente:
1. visita al complesso della Corte benedettina di Legnaro
2. La corte di Legnaro e i Benedettini, excursus storico con interventi di Sante Bortolami e di Francesco Trolese, autori dei due saggi storici del volume: La Corte Benedettina di Legnaro. Vicende, strutture, restauri. Padova 2001.

     Dopo la visita ai locali della Corte, oggi restaurati e adibiti a sede di “Veneto Agricoltura”, i numerosi convenuti prendono posto in una sala prospiciente il chiostro. È presente anche p. Innocenzo Negrato, abate di Santa Giustina nonché figlio della terra di Legnaro.

     S. Bortolami, esordisce puntualizzando come l’entità fondiaria della Corte, suddivisa in varie campagne, abbia raggiunto l’estensione di circa 1550 campi padovani e come, dopo la soppressione, sia stata venduta all’incanto fra il 1806 e il 1810. La sua configurazione aziendale matura e l’impianto delle strutture amministrative e gestionali nelle forme attuali (la corte e gli annessi edifici padronali, i granai, le stalle, i magazzini, le cantine ecc…, ancor oggi impressionanti per la loro monumentalità), sono frutto di un grande sforzo progettuale conseguente alla riforma di Santa Giustina attuata al principio del Quattrocento da Ludovico Barbo e proseguito con tenacia fra il Cinque e il Seicento. Bortolami focalizza il suo intervento sulle premesse di questa impresa, cioè su quel complesso itinerario grazie al quale fra l’XI e il XV secolo si pongono le fondamenta di questa superstite perla dell’architettura rurale benedettina. Ricorda come già nel X secolo, quando si manifestano i primi timidi cenni di rinascita agricola nelle campagne, il vescovo controlli a sud-est di Padova tutto lo spicchio di contado che dalla città si spinge fino alle lagune. Legnaro si trova nella fascia intermedia tra i pievati di Padova e di Piove, fascia paludosa e prevalentemente boschiva, come dichiara implicitamente il nome. Nel corso dell’XI secolo si profila una distinzione fra un Legnaro dell’abate e uno del vescovo e, nell’ambito di intense trasformazioni agrarie, si assiste a un consolidamento delle proprietà monastiche. Sono inevitabili, nel secolo XII, contese per l’attribuzione delle decime fra clero secolare e clero regolare che producono uno sforzo per far corrispondere lo spazio patrimoniale a quello della giurisdizione civile e religiosa. Il Duecento vede un grande sforzo organizzativo nell’amministrazione delle proprietà e uno sviluppo del sistema stradale e di canalizzazioni che favorisce un incremento demografico nel territorio. Dopo aver sottolineato come nel Trecento si accentui il legame con la società locale, Bortolami conclude invitando a ricordare come l’immensa fatica di chi ha lavorato nelle terre della Corte sia stata scandita dai ritmi dell’“ora et labora” che ha fuso l’esperienza profondamente umana del lavoro con quella della preghiera.

     F. Trolese illustra la situazione che incontra Ludovico Barbo quando diventa abate di Santa Giustina (1409): è il momento in cui i monaci, per impedire il disfacimento della proprietà di Legnaro, ne assumono gradualmente la conduzione diretta. La nuova organizzazione che si cerca di affermare nel Quattrocento non può evitare motivi di dissidio con gli affittuari che però si ricompongono con accordi tra le parti. È legittimo chiedersi quale sia la natura del rapporto fra il monastero e i contadini in questo momento: Trolese risponde che si può tranquillamente affermare essere molto buono, anche se la nostra sensibilità lo definirebbe nei termini di un paternalismo illuminato. Dopo aver brevemente scorso la situazione della corte nel Cinquecento e nel Seicento, Trolese ricorda che nel Settecento il rapporto tra il monastero e i contadini cambia radicalmente. I monaci preferiscono passare dalla conduzione diretta alla concessione in affitto delle terre, i contratti includono l’obbligo di conferire i prodotti alla Corte, mentre il monastero offre ai contadini la sicurezza di una pronta collocazione dei prodotti sul mercato. Per quel che riguarda la chiesa parrocchiale di Legnaro, questa è affidata fin dalle origini all’abbazia di Santa Giustina, poiché sorge sui terreni di proprietà del monastero. L’ultima volta che l’abate di Santa Giustina esercita il diritto di designazione del parroco è nel 1798; dopo tale data il diritto di patronato passa allo Stato.

     Trolese conclude osservando che gli edifici costruiti dai monaci con la popolazione sono ancora oggi testimonianza di come la civiltà dei monaci abbia un valore che perdura nel tempo e che rinvia all’Operatore di ogni bene, al quale i figli di San Benedetto si sono dedicati per tutta la vita.

     La giornata si conclude con un non formale ringraziamento a don Francesco Trolese per il suo trentennale impegno di conduzione della Biblioteca di Santa Giustina.

     L’abate I. Negrato lo ringrazia per lo spirito di servizio con cui vive questo ruolo e gli augura e si augura di veder presto soddisfatto il desiderio di veder concluso il restauro della Biblioteca.

     Il presidente, G. Romanato, sottolinea lo stile di dialogo sereno e costruttivo che don Francesco riesce a trasmettere a chi si rapporta con lui.

     A. Rigon ricorda come Trolese viva lo stare insieme da studioso con altri studiosi sempre esercitando e comunicando le virtù monastiche e lo ringrazia per questo a nome di tutta la ‘famiglia’ della Societas.

Padova, 15 ottobre 2004

Rosetta Frison SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

RIUNIONE - 30 ottobre 2004

     L’incontro, che si tiene nella sala San Luca dell’abbazia di Santa Giustina, ha come tema la presentazione del volume di Luigi Lazzerini, Nessuno è innocente. Le tre morti di Pietro Pagolo Boscoli, Firenze, Olschki, 2002.

     Sono presenti, oltre allo stesso autore (attualmente fellow presso l’Harvard Center for Italian Renaissance Studies di Firenze), il prof. Mario Rosa (ordinario di storia moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa) e il prof. Achille Olivieri (ordinario di storia moderna presso l’università di Padova). Introduce il presidente della Societas prof. G. Romanato.

     La ricerca si fonda sulle relazioni di conforto, manoscritte, che narrano la morte di tre condannati: il fiorentino Pietro Pagolo Boscoli che, accusato di aver tramato contro i Medici, venne assistito dal savonaroliano Luca della Robbia; il congiurato lucchese Pietro Fatinelli, che si avvalse del conforto dell’eretico Filippo Calandrini; il nobile romano Troilo Savelli che, ribellatosi al papa e fattosi bandito, fu assistito dal gesuita Giuseppe Biondi.

     L’intento del saggio è quello di rifocalizzare il rapporto tra la sensibilità delle persone e le idee religiose, tra la pratica religiosa e la mentalità diffusa, tra la storia della morte e la storia della Riforma. Uno dei risultati è l’aver messo in luce l’importante influenza che il clima religioso del Cinquecento ebbe nello svolgimento dell’attività di conforto ai morenti e ai condannati da cui deriva la più generale concezione della morte. Emerge, infatti, l’esigenza di ripensare alcune questioni fondamentali della storia religiosa di quel periodo in Italia: il ruolo giocato nella genesi della Riforma italiana dal savonarolismo, il rapporto pelagianesimo-agostinismo, la genesi del Beneficio di Cristo, le discussioni tridentine sulla confessione, le relazioni tra ideologia repubblicana e dissenso religioso.

     Gli interventi di Rosa e Olivieri, che mettono in luce tutto questo da angolature diverse, provocano un interessante dibattito che si chiude con un diffuso desiderio di leggere il libro e approfondire il tema difficile ma coinvolgente di questa ricerca.

Padova, 17 novembre 2004

Rosetta Frsion SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

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CONVEGNO - 4 dicembre 2004

     Lo scorso  4 dicembre si è tenuto un interessante convegno dal titolo Giustina e le altre – culti, devozioni e liturgia (gli atti saranno presto pubblicati in un nuovo volume della collana Fonti e ricerche per la storia ecclesiastica padovana), che ha sviluppato alcuni dei temi appena sfiorati dall’importante convegno del 4-6 ottobre 2004 Giustina e le altre – Sante e culti femminili in Italia settentrionale dalla prima età cristiana al sec. XII.

Padova, 14 gennaio 2005

Rosetta Frison SegafredoSegretaria
Gianpaolo Romanato
Presidente

Chi siamo

La Societas Veneta per la storia religiosa si propone di diffondere passione e interesse per gli studi inerenti la storia ecclesiastica, alla quale si richiamava la denominazione iniziale dell’Associazione. Inoltre vuole sensibilizzare ad uno studio della storia intesa come rigore critico, ricerca delle fonti e dei documenti, scrupolo interpretativo fondato su un corretto metodo filologico e non sul dilettantismo.

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